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San Pietro in Campo

Titolo: San Pietro in Campo
Tipo:

Località:     Latitudine: 42.97243    Longitudine: 11.77102

Non conosciamo la data di fondazione di questa abbazia, sappiamo che il monastero fu edificato su terreno demaniale. La prima notizia che ne attesta l’esistenza risale al 1031, quando lo si ricorda patronato dei conti Manenti di Sarteano. Inizialmente il monastero segue la Regola di San Benedetto fino al secolo XII quando passa ai Camaldolesi.

Un gioiello nascosto fra le Crete

Non conosciamo la data di fondazione di questa abbazia, sappiamo che il monastero fu edificato su terreno demaniale. La prima notizia che ne attesta l’esistenza risale al 1031, quando lo si ricorda patronato dei conti Manenti di Sarteano. Inizialmente il monastero segue la Regola di San Benedetto fino al secolo XII quando passa ai Camaldolesi.

A questa abbazia un Conte Pietro, figlio del Conte Winigildo e di Teodora, insieme ai fratelli Ranieri e Forolfo, faceva dono nel 1055, di alcuni possessi. A testimonianza della sua maggiore antichità rispetto alle notizie che abbiamo, viene un privilegio del Papa Alessandro II del 1068, dove è definito: “antico monastero”, unitamente a S. Salvatore del Monteamiata, S. Antimo e S. Bendetto. La storia di questo monastero si intreccia più volte con quella del monastero amiatino del Vivo. Nel 1117 i monaci del Vivo furono, per ordine di papa Onorio II scomunicati dal vescovo di Chiusi e da Alberigo cardinale e dopo non molti anni nel 1146, a petizione del loro priore Don Rustico, i detti eremiti furono da Eugenio III uniti alla Badia di S. Pietro in Campo con tutti i loro beni; fu allora che quest'ultimo monastero lasciò l'antica regola di S. Benedetto, per quella camaldolese di S. Romualdo (intitolazione del Vivo).

Nel marzo 1126, Manente, figlio del Conte Pepone, donò metà di Castiglioncello del Trinoro ai monaci del Vivo e l'altra metà alla Badia di S. Pietro in Campo.

Nel 1176 S. Pietro in Campo passa sotto la protezione del monastero di S. Eugenio di Siena. All’inizio del XIII secolo il monastero è costretto a sottomettersi a Siena per avere protezione contro le molestie che gli venivano arrecate continuamente dai conti di Sarteano. Al monastero di S. Pietro in Campo pare appartenne probabilmente già nel 1191 la chiesa di S. Maria in Campo, detta in seguito in Contignano. Nel 1212, per stipulazione fatta in S. Quirico in Osenna, fra il Priore di Camadoli, l'Abate del Vivo e quello di S. Pietro in Campo, i monaci di S. Pietro si dettero in accomandigia al Comune di Siena, con tutto il loro vastissimo territorio, confermando tale accomandigia al vicario imperiale di Federico II in S. Quirico.

Nuovamente nel 1226 S. Pietro in Campo si sottomette a Siena, trovandosi continuamente molestato dai conti e baroni, specialmente della Maremma. Fu costretto nuovamente a sottomettersi nel 1231 si rassegnò nuovamente sotto la tutela della Repubblica senese, successivamente, nel 1243 i suoi monaci si affidarono alla protezione del comune di Montepulciano, quindi alla Repubblica fiorentina. Dal 1196 ha inizio la disputa di S. Pietro in Campo con il monastero di S. Salvatore del Montamiata, per i diritti sulla chiesa di S. Andrea di Radicofani. La disputa sarà particolarmente accesa intorno al 1237, quando la controversia si allarga anche alle chiese di Arcidosso, Montepinzuto e Montenero.

L’abbazia di S. Pietro in Campo si trovava lungo uno dei percorsi alternativi più importanti della Francigena magistram, quello che da Spedaletto si ricongiungeva alla via principale poco dopo Ponte al Rigo. Secondo alcuni studiosi S. Pietro in Campo fa parte di quei monasteri nati proprio in seguito allo sviluppo, a partire dall’epoca longobarda, dell’importante arteria stradale. Secondo la consuetudine dei monasteri camaldolesi posti in luoghi di transito, anche S. Pietro in Campo aveva certamente un ospitale. Inoltre gestiva l’ospitale di Fonte Cecula in Radicofani presso il quale possedeva e gestiva una cappella.

La chiesa si presenta a navata unica, conclusa da un'ampia abside semicircolare. La copertura dovette essere lignea fin dall'origine. La struttura della chiesa evidenzia molti elementi che, pur con divario qualitativo, manifestano un collegamento con S. Antimo, per esempio le quattro esili colonnette che spartiscono l'abside all'esterno, con capitelli a foglie stilizzate che scandiscono l'ampia curvatura absidale. La chiesa dell’antica abbazia presentava un ingresso di tipo basilicale, oggi questo ingresso è chiuso e ne è stato aperto un altro laterale. L’interno ha subito notevoli trasformazioni, tra le altre cose sono stati tamponati due dei tre arconi di sostegno per ricavare alcuni locali. Oltre alla facciata rimane l’abside dell’antica struttura, di forma semicircolare con archetti pensili spartiti da semicolonne del sec. XII e alcune formelle decorate inserite all’interno dell’abside e la porta del Morto, posta lateralmente e oggi tamponata. Tracce dell’antica struttura abbaziale sono riconoscibili nel cortile lastricato in pietra, probabilmente quello che resta del chiostro, attualmente circoscritto dalle abitazioni che si distribuiscono intorno a questo spazio.

Approfondimenti

Manenti di Sarteano

La consorteria familiare dei conti Manenti ha come base territoriale il castello di Sarteano nell’alta Val d’Orcia, all’estremo sud del territorio senese. In origine essi erano valvassori del marchese Ugo di Toscana, ed hanno intrecciato fin dal secolo XI i loro interessi economici con l’abbazia di S. Pietro in Campo. Nel 1055 un conte Pietro, figlio di Winigildo e Teodora, insieme ai fratelli Ranieri e Farolfo, fa dono di alcuni possessi all’Abbazia di S. Pietro in Campo. Il titolo di conti deriva loro dall’essere discendenti della stirpe dei Farolfenghi, forse di origine orvietana attivi nel comitato chiusino a partire dal secolo XI.

I Manenti furono uomini “che combattono” anche a causa della posizione strategica dei loro territori posti tra Chiusi, importante centro longobardo di VIII secolo che pur progressivamente meno importante nel pieno Medioevo era ancora centro vescovile ma abbastanza lontano da esercitare su queste terre una stretta influenza così come lontane erano le città di Siena, Orvieto e Perugia. Ne deriva che nel corso del XII secolo i Manenti potevano esercitare abbastanza liberamente il loro potere su queste terre subendo il controllo da parte dell’espansione urbana più tardi rispetto ad altre zone. La più antica testimonianza nota di un esponente di questa famiglia è di XI secolo e si riferisce a Pietro di Winildo detto Pepone.

Il loro potere non ebbe bisogno di essere esercitato con la forza fino al XIII secolo. Infatti nel corso del secolo XII agirono per conservare i loro patrimoni tramite donazioni, alleanze e transazioni fondiarie. Furono però costretti a difendersi quando nel corso del Duecento si fecero più pressanti le mire espansionistiche di Siena. Perugia ed Orvieto. E’ nel corso del XIII secolo che il processo di disgregazione delle proprietà di questo ramo familiare condussero alla dispersione della famiglia.

Elementi architettonici che rievocano Sant’Antimo

Fra gli elementi che pur con un certo divario qualitativo manifestano un collegamento con l’importante abbazia di Sant’Antimo vi sono le quattro esili colonnette che spartiscono l’abside all’esterno. Così anche i capitelli a foglie stilizzate che scandiscono l’ampia curva absidale.

Porta del morto

Questo tipo di apertura che segue delle caratteristiche precise si trova nella chiesa di S. Pietro in Campo accanto a quella che oggi è l’entrata ma che un tempo era la parete nord. L’apertura, tamponata, presenta un arco a tutto sesto segnato da un architrave monolitico. La tradizionale interpretazione di queste aperture lunghe e strette molto diffuse nel medioevo sia nell’architettura religiosa che civile vuole che fossero le porte destinate all’uscita dei defunti per poi venire nuovamente tamponate una volta uscito il feretro.